Ore 6:00. E' appena l'alba di un timido venerdì d'ottobre, ma il vento ha l'inverno nel sangue. Non sono a mio agio, fumare a quest'ora mi fa venire la tosse e ho solo una maglietta bianca, una stupida maglietta bianca a maniche corte. Mi ricordo che ho un cesto di panni sporchi scandalosamente pieno, virulento da far schifo, e senza indugio io e il mio fido Napisan saliamo sulla nostra navicella Space Invaders anni '80 a mitragliare tutti i germi cattivi. Ore dopo mangio. La guerra galattica mi fa venire voglia di latte e saccottini. Sono le 8 e ho di nuovo sonno. Ma dormire è pericoloso, specialmente con i sogni che girano di questi tempi (signora mia). Allora mi siedo sul davanzale, le gambe ciondolanti sul nulla. Se chiudo gli occhi posso sentire il vuoto tra le cose, tra i mie piedi e la strada, tra la mia vita oggi e la mia vita un mese fa. Anche questo è pericoloso, intendo fare amicizia col vuoto. Il pieno, per favore. Ma in un attimo collasso, un movimento falso e mi trovo appeso a un geranio rosso, l'integrità delle mia ossa alla mercé di un fiore. Non ne valeva la pena (dico io). Non ne vale la pena (dice il fiore). E mentre io e il mio fiore cadiamo, mi chiedo: se un albero cade nel bosco e nessuno è là ad ascoltarlo fa rumore?
Con un rumore sordo due braccia ci afferrano. Tu guardi il mio fiore rosso e sorridi. In un istante penso a questo mese senza di te, questo mese passato a chiedermi dov'eri, cosa facevi, se eri felice. Mi sembra così semplice che tu ora sei qui. D'un tratto è tutto di nuovo così pieno, il sole è allo zenit e felice mi chiedo: cosa accadrebbe se il cielo si unisse alla terra? Lo so. Felici, cammineremmo tra le nuvole. E anche le nuvole sono piene, sanno di mare e ruscelli di campagna. Io rimango così, sospeso, a lasciare che la forma delle tue labbra stravolga di nuovo la geometria dei miei sorrisi, e con un tuffo al cuore prendo il largo, mi lascio alle spalle questo mese di semafori noiosi, questo mese passato a odiare ogni singolo istante passato insieme. Questo mese in cui non desideravo altro che addormentarmi ancora con te, in quella soffitta, sotto una coperta di tenerezze. E ora, nello spazio di un secondo, perdo la testa...
[Pensiero, io non ho più parole. Ma cosa sei tu in sostanza? Qualcosa che lacrima a volte, e a volte dà luce. Pensiero, dove hai le radici? Nella mia anima folle o nel mio grembo distrutto? Sei così ardito vorace, consumi ogni distanza; dimmi che io mi ritorca come ha già fatto Orfeo guardando la sua Euridice, e così possa perderti nell'antro della follia.]
Ore 6:00. E l'alba di un timido venerdì d'ottobre, ma io ho l'inverno nel sangue.
17 ottobre 2009
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