
Vite parallele. Noi e gli altri. Noi e i nostri vicini di casa, che tornano ad avere una faccia, un nome e un cognome solo quando cambiano macchina o si comprano il cane. Noi e gli altri automobilisti intorno a noi, imbottigliati nel traffico, con i loro gesti meccanici, le loro espressioni imbronciate, i loro finestrini appannati, che si affannano, si pettinano, si truccano, si scaccolano e poi sbuffano, sbaruffano, sbatuffolano con tutti e con tutto, bipedi o quattroruote, uomini o semafori. Noi e i nostri contatti messenger, di cui a volte ci dimentichiamo, ma a cui non neghiamo mai uno sguardo incuriosito al nick o un pettegolezzo veloce quando aggiornano i blog. Noi e le persone intorno a noi. In mezzo, distanze variabili, giochi di specchi che ammiccano, biblioteche che nascondono vani, vani che nascondono altri vani, tutti chiusi, tutti segreti. Forse tutto questo comunicare non è che un gioco di inganni, forse siamo davvero tutti presi dalle nostre vite belle diritte, belle solcate, e non ci concediamo mai deviazioni, non mettiamo mai in discussione i nostri schemi mentali. O forse è vero il contrario, forse le nostre vite apparentemente rigide, si allungano lì con la manina a toccare il più possibile, a sporgersi col collo per annusarsi, scrutarsi, fischiettarsi a vicenda. Da quale punto possiamo osservare le cose come sono veramente?
In fondo, il quinto postulato di Euclide nessuno lo ha mai dimostrato.
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